Come liberarsi dalla dipendenza affettiva

L’atteggiamento di dipendenza totale dal partner, che offusca i propri bisogni e la propria individualità, viene definito love addiction. Come tutte le dipendenze, anche quella affettiva di trasforma in una vera e propria schiavitù, nell’ansia del controllo e nella paura dell’abbandono. Dietro questi atteggiamenti c’è insicurezza e senso di inadeguatezza. Ci sono alcune tecniche per allenare la propria mente all’indipendenza e alla libertà: ve le sveliamo grazie all’intervista che ci ha concesso la dottoressa Francesca Giordano, psicologa-psicoterapeuta cognitivo comportamentale dell’Asl/Le-SerD Gallipoli.  

La dipendenza affettiva è per gli psicologi una delle nuove dipendenze comportamentali che si sono affermate, insieme a tante altre “new addiction”, come la dipendenza da internet, dal gioco d’azzardo, dal lavoro o da shopping compulsivo. Chi ne soffre si deteriora gradualmente nella relazione amorosa vivendola in maniera angosciante, ma senza essere capace di chiudere o di emanciparsi dal proprio partner. Gli psicologi la paragonano a una dipendenza da sostanze e la definiscono “love addiction”: conta molto durata e frequenza della sofferenza percepita. Il rapporto, dunque, che dovrebbe essere caratterizzato da serenità, complicità e capacità di non invadere gli spazi del partner, vivendo i propri liberamente, si trasforma in un inferno o, nel migliore dei casi, in un carcere dove viene imprigionata la propria individualità. La psicoterapia può fare molto per tornare a vivere da uomini liberi prendendosi le responsabilità delle proprie scelte, come ci spiega nell’intervista di oggi la psicologa- psicoterapeuta Francesca Giordano, della Asl di Lecce, operativa nel Servizio pubblico per le tossicodipendenze e Dipendenze patologie. Oggi vi spiegheremo come riconoscere una personalità disturbata dalla dipendenza affettiva e come fare i primi passi per venirne fuori. 

I sintomi della dipendenza affettiva

La “diagnosi” di love addiction non è poi così difficile: le personalità che soffrono di questo disturbo del comportamento entrano in fibrillazione per l’assenza della persona amata, come se fossero in astinenza. È un bisogno compulsivo dell’altro che genera vere e proprie crisi. L’altra caratteristica che si può notare in questi rapporti malsani e l’enorme quantità di tempo speso per la relazione a pensare al partner o a starci insieme semplicemente per seguirlo. Essere concentrati su di un’altra persona per tutta la giornata produce un distaccamento dalle proprie attività sociali, professionali o di svago. È una perdita lenta inesorabile della propria identità. Le persone che vivono quasi come un’ossessione la relazione amorosa perdono il controllo delle propria vita, persino ostinandosi a tenere in piedi relazioni ormai finite. Del resto i soggetti con questi problemi possono avere difficoltà di attaccamento: tante relazioni senza alcun periodo di attaccamento durevole, oppure ripetute relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro”.

La dipendenza affettiva patologica non è da confondere con l’amore romantico: ci può essere un periodo in cui euforia, cambio delle priorità, sbalzi d’amore, elevato desiderio sessuale e possessività possono essere una reazione normale della prima fase amorosa, ma quando le caratteristiche della dipendenza diventano rigide, pervasive, prolungate e sviluppano sofferenza, siamo nel patologico.  

Dall’innamoramento all’amore tra due individualità complete e distinte, che si rispettano

La capacità di passare dalla fase di innamoramento a quella dell’amore (che è scelta consapevole dell’altro) dipende proprio dalla necessità di percepirsi e rispettarsi come degli individui separati, che hanno piacere e voglia di passare del tempo insieme. Lo psicologo e scrittore Wayne Walter Dyer ha più volte spiegato che l’idea di considerare l’altro un completamento di se stessi è malsana: bisogna essere indipendenti e liberi per poter arricchire l’altra persona, se ci si considera la metà di qualcun altro, si è incompleti e dipendenti dall’altro. La dipendenza è una ricerca dell’altro quasi ossessiva senza il quale la propria vita perderebbe valore. Alla base c’è un vuoto, una rinuncia alla propria indipendenza spirituale. Il desiderio si trasforma in bisogno compulsivo della presenza del partner e il piacere in sofferenza (sospetto, ansia, angoscia esistenziale quando manca il pieno controllo sulla vita dell’altro). Chi soffre di dipendenza affettiva, del resto, si sente inadeguato e ha sempre paura di essere abbandonato, tanto da mettere in atto comportamenti compiacenti e servili col partner. Inoltre, questo tipo di soggetti finiscono per scegliere sempre i partner sbagliati, proprio per il senso di inadeguatezza che li accompagna. Quindi, il dipendente affettivo sceglie spesso il narcisista egocentrico o l’anaffettivo come compagno e si spiega la mancanza d’amore del partner con l’idea inconscia di non essere amato perché inadeguato. Il dipendente affettivo non riesce a stare solo perché si sente debole e indifeso: questi soggetti nella speranza di non farsi abbandonare si fanno sfruttare sessualmente, economicamente e in atri modi.  

Liberarsi dalla dipendenza

Per liberarsi dalla dipendenza affettiva è necessario arricchire la propria vita, concentrarsi sui propri interessi, sul lavoro sui propri hobby e sulla propria vita. Bisogna fare un percorso di indipendenza spirituale. Poi, sarebbe necessario analizzare i propri pensieri disfunzionali e le emozioni negative. La negatività non aiuta: è necessario un riequilibrio. Bisogna lavorare sulle proprie convinzioni, sulla paura di restare soli, per superarle. Alcune “convinzioni disfunzionali” (spesso inculcate dalla famiglia e dalla società), tipo “senza di lei non vivo”, sono immobilizzanti e pericolose per la propria vita. Le persone dipendenti hanno bisogno continuamente di una specie di madre o di padre senza il quale non riescono a vivere. Bisogna avere tempo e costanza per allenarsi a correggere i propri pensieri negativi: partendo da lì si potrà lavorare su tutto il resto, tornado ad essere finalmente persone libere. La psicoterapia è il mezzo più importante per raggiungere l’obiettivo di una definitiva liberazione dalle nostre paure e ossessioni.  

Intervista alla Dott.ssa Francesca Giordano, Psicologa-Psicoterapeuta ASL/LE-SerD Gallipoli  

Dottoressa, possiamo definire la dipendenza affettiva un disturbo del comportamento tipico degli insicuri o di chi ha poca personalità, oppure può riguardare delle persone che non hanno problemi di insicurezza?  

“Innanzitutto occorre chiederci cos’è una dipendenza affettiva. Sebbene la dipendenza affettiva, per insufficienza di dati sperimentali, non rientri tra i disturbi mentali diagnosticati nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, American Psychiatric Association, 2013), essa viene classificata tra le ‘new addiction’, nuove dipendenze di tipo comportamentale, tra cui si ritrovano anche la dipendenza da internet, il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da sesso-da sport-da lavoro, lo shopping compulsivo.

Si tratta di una dipendenza ‘positiva’ quando la relazione si fonda su un amore reciproco, non patologico e appropiato; è invece una dipendenza ‘negativa’ e pericolosa quando si fonda su un amore non corrisposto, patologico, inappropiato o respinto.

Nella pratica clinica spesso incontriamo pazienti che non riescono a interrompere relazioni intime profondamente distruttive, che generano sofferenza e compromettono la loro vita a vari livelli.

Chi soffre di dipendenza affettiva si sente spesso inadeguato e non degno di amore e vive costantemente con il terrore di essere abbandonato dal partner. Questa paura induce al tentativo di controllare l’altro con comportamenti compiacenti di estrema sacrificalità, disponibilità e accudimento, con la speranza di rendere la relazione stabile e duratura, in una relazione spesso di non mutualità, in cui l’altro e i suoi bisogni sono centrali, a discapito dei propri (‘non mi ama perché io non vado bene’).

Il risultato è che l’altro è rincorso esattamente come fanno i giocatori d’azzardo che ‘rincorrono la perdita’ e non riescono a smettere di giocare, con sintomi dell’astinenza (depressione e incapacità di provare piacere, ansia, sensazione di vuoto ecc.) che spingono a perdonare continuamente il partner e a giustificarlo in un circolo vizioso tossico. Spesso tali problematiche relazionali accompagnano i vissuti amorosi di persone con disturbi di personalità di tipo dipendente, borderline, istrionici o narcisisti covert.

L’insicurezza e la bassa autostima possono chiaramente predisporre a perseguire relazioni patologiche nella misura in cui l’identità personale si struttura attorno ad una rappresentazione di sé come fragile, inadeguato, sbagliato, inefficace, incompetente. Questo self-schema si accompagna a variazioni degli stati emotivi in relazione all’andamento della relazione affettiva e a cicli interpersonali problematici, con ripercussioni sull’umore, su vissuti di vuoto e frustrazione e cicli intrapsichici di autoinvalidazione ricorsiva, eccessiva passività, sottoporre l’altro a continue pressioni per essere rassicurati sulla propria importanza nella vita e nella mente del partner. Anche la gelosia in tal senso può diventare ‘patologica’ come indice di insicurezza personale, percezione di sé come inferiore ad altri competitors, paura dell’abbandono e della perdita dell’oggetto amato…con tutte le conseguenti azioni di ipercontrollo (del telefono, del profilo facebook o di instangram, tendenza ad isolare l’altro dalle amicizie, ecc)”.  

Ma come distinguere un attaccamento sano da una dipendenza problematica, la cosiddetta love addiction, la dipendenza affettiva? 

“L’amore coinvolge un’ampia gamma di sistemi cerebrali attivi che si associano a desiderio intenso, ricompensa e motivazione mediati dall’attività dopaminergica (notoriamente implicata in tutte le addiction) e gli innamorati presentano numerosi aspetti comunemente attribuiti a tutte le forme di dipendenza, ossia estrema concentrazione dell’attenzione (preminenza), euforia (intossicazione), variazioni del tono dell’umore, pensiero intrusivo/ossessivo, dipendenza fisica ed emotiva, tolleranza, distorsione della realtà, cambiamenti della personalità, tendenza a compiere atti inappropiati e pericolosi per conquistare e tenere unita a sé la persona amata, perdita dell’autocontrollo e desiderio intenso dell’unione emotiva e fisica con la persona amata.

Quando queste caratteristiche diventano rigide e pervasive e assumono la connotazione di necessità assolute, il rischio è di cadere nel versante più disfunzionale del legame amoroso, quello relativo alla dipendenza affettiva patologica.

Il passaggio ad un innamoramento disfunzionale avverrebbe per la trasformazione del desiderio in ‘bisogno necessario’ e del piacere in ‘sofferenza’, estrema ostinazione nella ricerca e nel mantenimento della relazione, nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative, la focalizzazione (salience), il desiderio compulsivo (craving), l’impegno ossessivo, la perseveranza di comportamenti problematici e la compromissione dei sistemi di controllo di questi, dipendenza emotiva e fisica, ritiro e ricaduta. Inoltre, quando una relazione finisce, le persone innamorate hanno dei sintomi d’astinenza che sono simili a quelli che si riscontrano nella sindrome d’astinenza dei tossicodipendenti (depressione, ansia, insonnia o ipersonnia, irritabilità, perdita dell’appetito o abbuffate) che, esattamente come avviene nella tossicodipendenza, portano alla ricaduta (cercare nuovamente il partner nonostante sia stato infedele, violento e altro)”. 

Come si vince questa dipendenza? Quali consigli si possono dare, oltre a una preziosa psicoterapia? 

“A seconda del singolo caso, si potrebbe aiutare la persona con dipendenza affettiva attraverso sostegno psicologico o counseling, se abbiamo a che fare con semplici interventi di ‘elaborazione del lutto/separazione’, oppure con psicoterapia strutturata, a seconda della storia di vita specifica del paziente, predisponendo e condividendo obiettivi soggettivi a breve e lungo termine.

In psicoterapia, prima di tutto occorre riconoscere lo stato mentale prevalente di sofferenza (vuoto depressivo, vuoto disorganizzato, ansia e/o rabbia) ed intervenire sulla consapevolezza della difficoltà di identificare delle alternative comportamentali e scopi di vita costruttivi. Ci si muoverà tra il cambiamento e l’accettazione, con tecniche che incrementino l’autonomia, la regolazione emotiva e l’autoefficacia.

A volte può esserci bisogno di intervenire nel profondo, attraverso il riconoscimento di quelli schemi di sé che la persona porta addosso da sempre, a partire da esperienze familiari precoci di abbandono, di trascuratezza fisica ed emotiva, di maltrattamenti, abusi ecc., che generalmente sono alla base della convinzione di non valere nulla e di non essere degni di essere amati. Altre volte oggetto di trattamento specifico possono essere la paura del rifiuto, della solitudine o del timore che sia troppo tardi per ricominciare una nuova vita.

Grazie a questo lavoro si creano le basi perché i pazienti possano da un lato formare relazioni affettive basate sulla reciprocità in cui sentirsi finalmente amati e accettati, o perché possano mantenere un senso di amabilità e valore personale, accompagnati da un senso di attività anche quando tali relazioni mancano.

La dipendenza affettiva può essere scatenata da un evento traumatico familiare?

“Fermo restando che ogni storia umana è unica e non cedendo alla tentazione di semplicistiche generalizzazioni sulle origini e cause scatenanti la dipendenza affettiva, possiamo dal punto di vista clinico accennare ad alcune frequenti associazioni nelle anamnesi. Per esempio, fattori predisponenti la dipendenza affettiva, partendo da un’ipotesi di ‘vulnerabilità personale’, possono essere ricercati in storie di traumi infantili (abbandono/instabilità, abuso, deprivazione, esclusione), un contesto di crescita invalidante emotivamente o un attaccamento insicuro alle figure genitoriali, con conseguenti associazioni a fenomeni dissociativi, disregolazione emotiva, invischiamento/sé poco sviluppato, vulnerabilità e senso di inadeguatezza/indegnità.

Queste storia di vita spesso conducono in età adulta a sviluppare Disturbi di Personalità che presentano difficoltà relazionali proprio inerenti l’autodirezionalità, la cooperatività, la stabilità affettiva/intimità, che andranno adeguatamente affrontati. Dunque, più che intervenire sulle cause si tratta di intervenire da adulti sui fattori di mantenimento della problematica psicologica”. 

Fonte: http://www.leccesette.it/dettaglio.asp?id_dett=64241